Dove una volta c’erano parole oggi ci sono emoji

Luogo: Una grande sala al piano terra di un grattacielo fra la Sesta e la Trentesima a New York.

Personaggi:

  • Melissa Broder, Poetessa e Scrittrice
  • John McWhorter, Linguista e Associate Professor of English and Comparative Literature alla Columbia University
  • Ben Zimmer, Language Columnist per il Wall Street Journal
  • Katy Waldman (moderatrice), Words Correspondent a Slate

Titolo: Is Technology Enriching Language?

Quella che segue è una libera ricostruzione del dibattito realmente avvenuto. Le parole usate qui non sono esattamente quelle pronunciate durante l’incontro, ma ho cercato di ricostruire il significato di quanto detto nel modo più fedele possibile. 

 

KW: Benvenuti e bla bla … Presentazioni e bla bla … (Dai, questa parte la potete immaginare) … come descrivereste i cambiamenti nel linguaggio dovuti a Internet? Partiamo da lì.

BZ: Più che valutarli, la cosa difficile è riuscire a registrarli, passaggio indispensabile per prenderli in considerazione. Per chi studia linguistica questo rende la faccenda tremendamente appassionante ma allo stesso tempo frustrante perché ci si ritrova a valutare un materiale che è sempre in movimento. Quello che per me è evidente è che si è sviluppato un piacere del gioco con la lingua grazie alle nuove tecnologie. A molti viene istintivo mettersi le mani nei capelli e preoccuparsi, spesso lamentarsi, per come il linguaggio sta cambiando. La realtà, però, è che stiamo ancora sperimentando i tanti modi nuovi di comunicare che le tecnologie ci offrono. Oggi si può comunicare con immagini, video … oltre che con parole.

KW: Molte persone si lamentano del fatto che il linguaggio si sta impoverendo, che si usano emoji invece di parole. Sicuramente il linguaggio si sta facendo più spontaneo. Cosa ne pensate?

MB: Come scrittrice, penso che l’immediatezza di contatto con il pubblico che internet offre è preziosissima. Quando studiavo pubblicavo poesie su carta e poi dovevo distribuirle. Ora sono in contatto diretto con il pubblico via internet. Molti chiamano quello che pubblico su Twitter “poesia”. Io non sono sicura che questo sia il termine giusto, perché ho la sensazione che ciò che viene pubblicato in rete sia temporaneo, mentre se penso alla poesia penso a qualcosa di permanente, meno effimero, meno facile da “gettare via”.

JMW: Se potessimo andare indietro nel tempo, al tempo degli scrittori che oggi consideriamo classici, ci renderemmo conto che tutta la comunicazione, parlata o scritta, era molto formale e, se vogliamo, anche sterile. Oggi il linguaggio è molto più ricco e sfaccettato. Nella letteratura di oggi c’è spazio anche per la lingua vernacolare. La troviamo anche nella poesia, cosa che non sarebbe potuta accadere nell’Ottocento. Abbiamo una cultura linguistica molto più ricca rispetto a uno o due secoli fa. Quando scriviamo possiamo usare codici che arrivano dalla comunicazione nella tecnologia per aggiungere significato. Per esempio scrivere tutto in maiuscolo per sottolineare che si sta “gridando”, con un effetto finale di ironia. Ecco, questo è un punto interessante e su cui la mia ricerca si sta concentrando molto in questo periodo: tendiamo a pensare a noi stessi come più ironici rispetto al passato, ma in realtà l’ironia c’era anche prima, solo che era diversa.

BZ: Quando scriviamo mancano tutti gli elementi paralinguistici (espressioni del viso, tono della voce, eccetera). Oggi possiamo esprimergli nello scritto, grazie per esempio alle emoji. Questo significa che oggi è possibile non solo esprimere ironia, ma anche autoironia, nei nostri scritti. E’ un fenomeno affascinante da osservare. Un’altra cosa estremamente interessante è il modo in cui la rete si appropria delle parole e ne trasforma la semantica a una velocità impressionante. Come quando Trump ha detto “nasty woman” e dopo pochissimo tempo quelle parole erano su una maglietta usata per le proteste, con quell’espressione utilizzata in modo chiaramente ironico.

KW a MB: Parlando di ironia, tu quando scrivi, scrivi principalmente della tua vita e lo fai in modo ironico, facendo ridere chi ti legge. Questo tratto di self consciousness è intenzionale? Pensi che rappresenti meglio la realtà?

MB: E’ dark humour, direi. Il passaggio da “bad idea” a Tweet è velocissimo. Questo genera linguaggio immediato, istintivo, grezzo. Credo anche che l’impressione che spesso si ha è quella di poter parlare di cose personali e farla franca più facilmente se ai propri pensieri si sovrappone l’ironia. Quando si manda un messaggio di testo, sembra esserci meno immediatezza. Bisogna specificare che si sta scherzando, per esempio mettendo delle emoji per dire “Non ti preoccupare, sto solo scherzando!”.

BZ: Forse è questo il motivo della vasta diffusione di “LOL” (Laughing Out Loud). Sembra essere una specie di facilitatore, di “lubrificante” per la conversazione. Il suo utilizzo finisce per avere regole proprie, parificate ad altre regole dell’interazione come darsi il turno quando si parla …

KW: Non trovate che sia frustrante?! Mi riferisco al fatto che le regole del “messaggiarsi” cambino in modo così veloce. Siamo arrivati all’opposto: cosa devo dire in un messaggio per far capire che sono seria, che non sto scherzando?!

JMW: Io mi chiedo, Cosa è successo alle email? Ricordo quando il “fenomeno email” è iniziato: sostituivano la posta e tutti scrivevano email lunghe. Oggi nessuno vuole ricevere o scrivere email lunghe. Che è successo?

BZ: Sembra già una cosa vecchia. Oggi le persone cercano metodi di comunicazione più sicuri e evidentemente le email non danno quest’idea. Gli sms hanno preso il loro posto, senza dubbio, e le email quotidiane sembrano essersi adattate a quel modo di comunicare. Ci preoccupiamo meno di come iniziare, di come formulare saluti … Sentiamo di poter andare dritti al sodo perché quello è quello che ci si aspetta oggi. Questo a meno che non ci sia una relazione di potere di un certo tipo, come fra professore e studente, e allora ci si preoccupa della forma. Ma quando ci si scambia email con le proprie conoscenze per motivi personali non ci si preoccupa più della forma.

KW: Forse abbiamo bisogno di un metodo di comunicazione più “compresso” per tenere il passo con il mondo lì fuori? E’ un problema di information overload più che di normale evoluzione?

JMW: Sicuramente c’è un sovraccarico di informazioni (information overload). Quando qualche anno fa leggevo il giornale cartaceo, mi tenevo informato e non mi sentivo schiacciato dal peso di quest’azione. Oggi l’offerta di informazione è talmente massiccia che è più difficile fermarsi a leggere un articolo lungo o addirittura un libro. Però mi chiedo: d’accordo, prima leggevamo articoli più lunghi, ma quanto ne ritenevamo? Forse il modo in cui leggiamo oggi è più naturale e in fondo non ci stiamo perdendo più di prima. Non propongo ai miei studenti libri più lunghi di 180 pagine perché io non li leggerei. Mi trovo a preferire e valutare il dialogo e la parola parlata per il passaggio di informazioni.

BZ: Sono un columnist e quindi scrivo articoli di circa 600, 700 parole e penso che si possa tenere l’attenzione delle persone per questa lunghezza. Mi rendo conto che spesso scrivo pensando “Ok, scrivo questo tot di parole e passo quest’idea, poi via al prossimo articolo”. Non penso che mi metterò a scrivere cose più lunghe. Ma io ho sempre avuto una soglia di attenzione basta (short attention span). Ora sicuramente, con i social media, le cattive abitudini mie e di molti altri sono incoraggiate: si legge un po’ qui un po’ là e ci si dimentica subito. Qualche anno fa scrivevo per il Boston Globe. Di recente ho incontrato una mia vecchia editor e discutevamo dell’articolo che avevo scritto sul termine YOLO nel 2010. Quell’articolo aveva avuto un sacco di successo eppure adesso YOLO è una cosa dimenticata. Questi “prodotti” hanno vita brevissima. Il churning, il “macinamento” delle parole, è sempre esistito, ma ora sembra che con i social media sia ancora più veloce e impietoso. La cosa buffa è che quelle parole poi continuano ad avere una vita ma come materia per fare battute.

MB: Aggiungo anche che mi pare che alcuni fenomeni interessino alcuni gruppi e altri no. Per esempio, utenti di Twitter e non utenti … Quando ho visto l’hashtag la prima volta mi sono chiesta cosa fosse quel waffle. A volte capita di vedere una certa immagine o una certa cosa ovunque e non si capisce perché tutti ne parlino o la condividano. Allora si cerca l’origine e spesso non si tratta neanche di cose così interessanti. Come il fenomeno della ragazzina “Cash me outside”.

KW: Due settimane fa tutti erano arrabbiati per la pizza all’ananas … Vedevo questi post di protesta online e non capivo. E ancora non ho capito devo dire. Quando capita, ci si sente lasciati fuori da un qualcosa, ma data la velocità con cui questi fenomeni si sviluppano e muoiono immagino sia una sensazione con cui dobbiamo imparare a convivere.

JMW: Io non ho capito l’uso di “thirsty” (N.d.S. letteralmente “assetato”). Ho sentito dei ragazzi che lo usavano. Da dove arriva?

BZ: Due o tre anni fa per le elezioni era stato usato in un dibattito per dire “disperato”, volere qualcosa disperatamente.

JMW: Ah, io pensavo lo usassero per “horny” (N.d.S. “sessualmente eccitato”)?

MB (che non capisce tutta questa autocensura): Sì. Sì. Quello è l’uso standard.

BZ (imbarazzato per essere stato rivelato in tutta la sua “pruderie”): Canonico, sì.

KW (cercando di salvare la situazione): Domande dal pubblico?

[Un ragazzo chiede la loro opinione sull’uso comunicativo che si fa oggi di video, immagini, e soprattutto immagini elaborate con scritte, faccine e altri interventi grafici.] 

MB: Stavo per parlarne quando abbiamo parlato di sms. Anche quello non si fa più. Gli sms sono già vecchi. Oggi tutti comunicano con Snapchat o comunque si scambiano quel tipo di contenuto.

JMW: Mi piace questa creatività, questa vena pittorica. Ma forse è una cosa mia…

BZ: Le emoji sono piccole pittografie e lì sta la ragione del loro successo. Quando le hanno rese disponibili direttamente dalla tastiera dei cellulari sono diventate un nuovo strumento e si sono standardizzate, tanto che oggi, anche con quelle, si finisce per chiedersi se si sta usando “quella giusta”. In più spesso non si sa se il ricevente ha lo stesso codec e riuscirà a vederle. Penso che nel futuro ci saranno sempre più combinazioni di testo e immagini. Sicuramente le compagnie stanno pensando a come sfruttare questa spinta espressiva. Come con le gif animate, il cui uso adesso è super facilitato, disponibile per chiunque, perchè è un contenuto facile da realizzare ma capace di aggiungere un nuovo livello di significato al messaggio che si scambia. E poi c’è la combinazione con la voce … Probabilmente sarà quello il tratto dominante della tecnologia del futuro. Siri, il Natural Language Processing … E’ quello il campo in cui le aziende stanno investendo di più. Verrà un giorno che diranno “Scrivevano i messaggi” e sembrerà età della pietra.

[Una ragazza fa una domanda lunghissima in cui chiede se secondo loro è possibile parlare della lingua della tecnologia come lingua a sè.]

JMW: Come linguista, ti dico che tutto dipende dalla tua definizione di lingua. Una lingua deve avere tre caratteristiche: shared attention, arbitrary symbols, sharing of ideas. 

MB: Beh, i linguaggi di programmazione creano un artefatto condiviso. Anche se noi guardiamo l’artefatto e non vediamo il linguaggio.

JMW: Quindi secondo te il linguaggio di programmazione potrebbe esser considerato un linguaggio a sè?

MB: Sì, secondo me sì. Ha le tre caratteristiche che dici ed è anche un linguaggio che i programmatori usano fra di loro.

[La ragazza di prima interviene specificando la sua domanda con un’altra riflessione lunghissima volta a mostrare che ‘ne sa’. Cita IBM Watson, fra le altre cose.]

BZ: Dalle pubblicità di Watson sembra che capisca tutto come una persona. Poi ci sono i film, “Her” per esempio, che supportano questa aspettativa dell’intelligenza artificiale con cui interfacciarsi come con un essere umano. La realtà è che Watson è indubbiamente molto utile ma è ancora legato a uno schema domanda – risposta. Watson come creatura senziente è una proiezione di quello che noi ci aspettiamo dall’intelligenza artificiale ma in realtà queste AI possono fare una serie limitata di compiti. Basta pensare ai chatbot. Alcuni di essi potrebbero passare il Test di Turing, ma rimane il problema della “uncanny valley“. Personalmente io preferisco che ci sia un livello di artificialità evidente che mantiene quella uncanny valley.

[Un’altra persona alza la mano per fare una domanda. Dice che per lei “comunicazione” significa che c’è una persona che esprime un’idea e una persona che la riceve. Con la tecnologia, sembra si dia più peso al potenziare chi emette il messaggio ma non chi lo riceve. Secondo lei, questo porta a una maggiore superficialità nella conversazione perchè le persone hanno una capacità di attenzione troppo limitata per ascoltare davvero e perchè le idee vengono espresse senza cura per il messaggio. Chiede come vedono il futuro della comunicazione quando ci saranno meno possibilità per una comunicazione non superficiale e secondo loro quale sarà l’impatto sulla nostra evoluzione come esseri umani. Gli “Human 2.0” saranno incapaci di meaningful conversations?]

JMW: Intrattenere una conversazione lunga non è naturale, siamo fatti per avere choppy conversation e parlare di una cosa alla volta. Affrontare cose più complesse è possibile solo in scrittura. Sicuramente le lunghe discussioni sono in pericolo oggi, e sicuramente le persone che ci si impegnano saranno sempre meno, ma non è che non fossimo così anche prima. Sicuramente sarà sempre più difficile sostenere l’attenzione, non so cosa ci si possa fare… Forse le scuole dovrebbero occuparsi di questo. Non lo so.

BZ: Siamo stati bravi a evitare la politica, ma visto che parli di sistema educativo… Ho l’impressione che il passaggio da Obama a Trump sia rivelatore. Trump è un uomo che da molta importanza ai tweet e che non è interessato a nessuna lunga trattazione. La scelta di avere lui come modello politico forse riflette il cambiamento nella società. È una cosa duratura o forse notiamo di più questo fenomeno dell’attention span perchè c’è Trump? Non lo so.

JMW: Ma le persone hanno sempre detto quelle cose in quel modo. La differenza è che non è mai successo che un presidente si arrogasse il diritto di esprimerle in quel modo. Trump è un essere umano e sicuramente incoraggia altri a essere come lui. Saranno anni interessanti…

KW: Consideriamo anche che oggi abbiamo più occasioni e modi per rispondere a quello che accade. Qualcuno tweetta qualcosa che non ci piace, possiamo rispondere immediatamente. Non siamo diventati meno interessati al dialogo, anzi, sembra sia stato innalzato di un gradino. È più pervasivo rispetto a qualche anno fa.

[Una ragazza chiede come mai secondo loro, se c’è una progressiva diminuzione della capacità di attenzione, sta aumentando l’uso e la produzione di podcast, che spesso sostituiscono la lettura dei libri.]

JMW: Tengo un podcast e l’impressione che mi sono fatto è che siano abbastanza corti e quindi si possano ascoltare mentre si fa altro. Richiedono meno attenzione rispetto a leggere. 

BZ: Certo. Se vuoi divertirti ascolti un podcast di stand up comedy, se vuoi imparare qualcosa ne ascolti uno specialistico. Ascolti mentre fai altro e per questo sono un mezzo più facile per raccogliere informazioni. Credo anche che a questo si aggiunga un desiderio autentico delle persone di approfondire gli argomenti che li interessano, e questo è un buon segno.

[Un ragazzo si dice sorpreso dal fatto che abbiamo parlato poco di lingue che non sono l’inglese. Internet è molto “inglese-centrico” ma vorrebbe avere il loro parere su questa osservazione.]

KW: Touché.

BZ: Ci sono molti strumenti disponibili a tutti, come Google Translator, se vuoi scoprire cose in lingue diverse La tecnologia facilita il passaggio ad altre lingue ma può anche ritorcersi contro. A questo proposito è interessante uno studio fatto alla Columbia sullo scambio di sms fra ragazzi bilingui inglese-spagnolo. Questi sono parlanti che di solito fanno code switching velocemente e in modo naturale. Ma il passaggio da una lingua all’altra diventa più difficile con gli sms perchè il telefono ha un certo dizionario impostato ed è una fatica cambiare. Cosí finisce che non lo fanno, e usano solo una lingua. Questo dimostra che questa tecnologia, per come è fatta, non tiene in considerazione i bilingui … E’ sicuramente una sfida da affrontare in una società in cui la tecnologia è pervasiva ma allo stesso tempo il mondo è sempre più multiculturale. Un altro esempio è quello delle digital assistants che hanno difficoltà anche con l’inglese non appena l’accento usato è diverso. 

JMW: La tecnologia ha reso più facile imparare le lingue ma, diciamoci la verità, possiamo studiare il mandarino ma, per quanto lo ascolti, se hai più di trent’anni e sei anglofono è quasi un impresa impossibile. Dato che c’è una lingua universale, che è l’inglese, ha senso usare quella. Anche perché, ve lo dico, anche se ci sono più parlanti di mandarino, il cinese non diventerà mai la lingua franca, semplicemente perchè l’inglese è più facile. Quindi è bene che questi strumenti per imparare le lingue online esistano, cosí che tutti abbiano la possibilità di imparare l’inglese.

Devo commentare questo ultimo intervento: Personalmente, non mi è piaciuto per niente sentire un  professore di linguistica ignorare completamente il fatto che una lingua franca diventa (e rimane) tale per motivi politici e economici, e non certo per semplicità della sua struttura (una bufala da dilettanti che un esperto dovrebbe aborrire). Peccato l’evento sia finito lì, senza che ci fosse possibilità di replica.

Su questa nota, si è concluso l’evento e si conclude la mia scena.

* Sipario *

All’uscita degli attori per gli applausi, JMW viene accolto da un lancio di tomi di Chomsky e Pinter (scelti fra i più grossi) a opera di uno stormo infuriato di linguisti e linguiste.

 


Serena Zampolli

2 COMMENTS
  • Mr. Pelotas
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    Mi basterebbe la chicca sulla Pineapple pizza per essere felice. In ogni caso, ho letto avidamente. E il fatto che si moltiplichino gli strumenti per rendere la lingua un gioco, mi rende ancora più felice dell’idea della Pineapple pizza (che tra l’altro: è buona).

    1. Serena Zampolli
      Reply

      (Anche secondo me è buona ma non diciamolo a nessuno…)

      Grazie per il tuo commento! Che bello sapere che qualcuno legge … Mi fai felice

      Anche io trovo entusiasmante questo sovrapporsi di livelli di comunicazione. Sento spesso persone lamentarsi del fatto che “non si legge più”, “non si scrive più”, ma mi pare che mai nessuna epoca sia stata così ricca di parole e informazioni scambiate … Al punto che tra un po’ non ci basteranno più i server

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