Sherlock & IoT – Prima settimana

Ho scoperto il Digital Storytelling Lab della Columbia University lo scorso inverno, mentre vagavo in rete cercando informazioni sulla narrazione interattiva e mischiata alle tecnologie. Da allora ho iniziato a seguire appassionatamente le sue attività (cosa che spesso mi fa sentire una stalker del suo direttore Lance Weiler).

La punta di diamante del centro è un progetto collaborativo intitolato Sherlock Holmes and the Internet of Things iniziato nel 2015. Tutto è nato da una serie di incontri pubblici al Lincoln Center di New York organizzati da Lance Weiler (direttore del DSL, videomaker e professore alla Columbia) e Nick Fortugno (insegnante di game design e creatore di giochi e videogiochi).

Questa primavera, durante una visita a New York (e dopo mesi di stalking silenzioso) ho finalmente avuto l’occasione di partecipare a uno di questi incontri e sono rimasta affascinata dal progetto.

Exploring the Intersection of Story & Play at Lincoln Center … Io sono la tizia molto assorta nella foto in basso a destra (28 marzo 2016)

Detto tutto ciò è facile immaginare perché, quando mi è arrivata la notizia che avrebbero organizzato un MOOC sull’argomento (il secondo, dato che il primo sperimentale tentativo risale allo scorso autunno) mi sono catapultata sul computer per iscrivermi immediatamente.

Il MOOC è iniziato ufficialmente il 23 agosto e terminerà il 6 ottobre 2016. Ogni settimana gli iscritti ricevono delle email con materiali da ascoltare/visionare/leggere e sfide da completare (leggi: compiti delle vacanze ma un po’ più divertenti), agendo nel mondo reale e virtuale e soprattutto interagendo con gli altri partecipanti.

La quantità di input e di stimoli interessanti che vengono “impacchettati” ogni settimana nei moduli di questo corso è sorprendente. Fa quasi paura. A essere completamente sincera, mano a mano che scorrevo le prime due e-mail e mi davo da fare per completare le challenges, mi sono sentita annegare in quel mare di informazioni. Ogni cosa merita di essere approfondita, ma quando inizi ad approfondire ti senti come se ti stessi inoltrando in un abisso, bellissimo e affascinante per carità, ma di cui non vedi il fondo (Benvenuta nell’Internet!). Poi, come un’illuminazione, ho capito il segreto per sopravvivere e imparare qualcosa: fare piccoli passi.

I moduli sono consultabili online quindi non ha senso che io riporti tutto qui. Ha invece senso riportare la mia esperienza con essi e appuntarmi i contenuti succosi e informativi (per me e per chi avrà voglia di leggerli in italiano invece di guardare i video in inglese).

La prima email che i partecipanti hanno ricevuto è stata quella per la Week Zero, che conteneva materiali e attività volti a creare i presupposti per la fruizione completa del MOOC. In questa email (e in quelle che seguono) è chiaramente indicato l’obbiettivo del corso: “Over the course of 6 weeks you and your teammates will ideate, design and prototype a 21st Century adaption of Sherlock Holmes that embraces a set of core principles. A prototype could be a game, an immersive storytelling experience, an enchanted object powered by IoT, a sherlock AI bot, an AR or VR project, a learning program for youth and/or an experience that makes social impact. The choice is up to you.

Il corso è poi iniziato ufficialmente con l’arrivo della email contenente i materiali della Prima Settimana (Week One).


Jorgen Van Der Sloot presenta la struttura del MOOC 

Jorgen Van Der Sloot presenta la strutta del MOOC, che seguirà l’acronimo EDIT: Empatia, Definire, Ideare, Testare. In questo primo video si concentra sull’Empatia e spiega che, in questa prima settimana di progetto, è importante esplorare le motivazioni personali che ci spingono a prendere parte a questo progetto, nonchè creare i presupposti per uno spazio collaborativo (a questo scopo una delle due sfide della settimana è la 5x challenge).

In questa fase è importante:

  • ascoltare le altre persone e cercare di capire le motivazioni alla base dei loro contributi;
  • parlare con intenzione, mantenere il focus dell’attenzione sull’argomento;
  • fare domande (chiedere il “Perchè?” di tutto) per capire a fondo cosa gli altri vogliono dirci e per aiutare loro ad esplorare le loro intuizioni;
  • contribuire alla costruzione di uno spazio libero da critiche. Ci sarà tempo, in seguito, per valutare e giudicare le idee, ma in questa fase la cosa più importante è esplorare tutte le possibilità e lasciare che tutte le idee crescano … E se son fiori, fioriranno, si dice.

Nick Fortugno sull’importanza della componente emozionale (Aesthetics)

Dopo essersi presentato, in questo video Fortugno passa a parlare di come avviare un progetto interattivo e per farlo prende come esempio il suo gioco Higher than the Stars.

Questo progetto è nato dopo che Fortugno è stato contattato da Indiecade che gli ha proposto di contribuire all’evento con un gioco da destinare alla sessione notturna del festival. Il gioco avrebbe dovuto esplorare il tema della Notte, ma in modo originale (pare ci fosse già una sovrabbondanza di giochi su lupi mannari, vampiri e Robert Pattisons di vario genere).

Intrigato dalla cosa, Fortugno ha accettato. La prima cosa che ha fatto è stata fare brainstorming sull’idea della Notte. Pensa che ti pensa, continuava a ronzargli in testa una canzone che parla di una ragazza che aspetta la notte per sgattaiolare fuori casa e andare in giro in macchina con un suo amico. A un certo punto i due si ritrovano nell’auto parcheggiata, al chiaro di luna. Stanno fumando, sono contenti, rilassati. Lei guarda lui e si rende conto che ne è innamorata. Così. Puf. Non sa cosa fare, non sa se dichiararsi o stare zitta. Il cuore le batte all’impazzata. E decide di non dire niente ma di fare di tutto perché quel momento duri il più a lungo possibile.

Ispirato da questa canzone e dalla storia che racconta, Fortugno ha iniziato a ragionare sul sentimento che si prova quando si hanno tredici, quattordici anni e ci si ritrova vicino alla persona che ci piace ma non si sa cosa fare. Quel senso di disagio e goffaggine che riesce a essere così incredibilmente elettrizzante. Ha iniziato a pensare a come creare un gioco con delle dinamiche che riuscissero a suscitare quel sentimento.

La sua soluzione è un gioco in cui i partecipanti devono stare molto molto vicini, con i corpi che quasi si toccano, ma non possono fare niente a parte guardarsi. Più a lungo stanno vicini, più punti guadagnano.

Questa idea di base è stata poi sviluppata in un’esperienza con un gruppo di ragazzi delle superiori. L’esperimento prevedeva due parti: una di giorno, di progettazione, e una di notte, di gioco vero e proprio. Durante la parte di giorno sono state segretamente create le coppie. Per la parte notturna, ogni ragazzo/a ha indossato una collana con un sensore NFC e l’obbiettivo del gioco era stare per più tempo possibile vicino alla persona con cui si era stati assegnati. Se questo accadeva, i due sensori mandavano un segnale al punto di controllo centrale e accumulavano punti mano a mano che passava il tempo. L’ostacolo era che gli altri giocatori non dovevano accorgersi della formazione della coppia. Se qualcuno se ne accorgeva, poteva fare la spia e la coppia scoperta perdeva tutti i propri punti.

Spesso si pensa che per costruire un gioco la prima cosa sia fissare le regole. Invece Fortugno vuole dimostrare che spesso il processo funziona al contrario: nel suo esempio la costruzione del gioco inizia con l’ispirazione, con l’idea di un sentimento che si vuole evocare (Aesthetics). Con in mente quell’obbiettivo, si procede a definire quali sono le meccaniche di gioco e le regole per raggiungerlo.


Lance Weiler sull’anima collaborativa del progetto

Dice Lance …

Tutto è iniziato con i MeetUp: per fare brainstorming, per connettere persone, per immergere le persone in un luogo costruito collaborativamente e libero da vincoli di diritti. Proprio quest’ultimo punto si è dimostrato un nodo focale: la proprietà (ownership) delle storie, soprattutto se intrecciate alle nuove tecnologie. Da qui la decisione di applicare le regole del Creative Commons all’intero progetto “Sherlock & the IoT”: “Everybody can take and do what they like with it as long as they follow the ethos of the project […] and contribute it back. They can also commercialize it.” (E se non è un approccio radicale e coraggioso questo … )

La prima cosa su cui Weiler e colleghi hanno concentrato le loro energie è stato costruire un ambiente collaborativo, che facesse da piattaforma per centinaia di persone provenienti da percorsi anche molto diversi. “The idea is that of creating a learning environment where learning, doing and sharing is conducive“. Per questo sono intervenuti ai vari incontri esperti appartenenti a campi diversi, cosa che è sembrata molto appropriata dato si stavano mettendo in discussione i confini stessi della parola “storia”.

In un progetto così ampio la sfida principale è definire una scansione del tempo. C’erano i MeetUp a New York, ma contemporaneamente c’erano gruppi auto-organizzati in varie parti del mondo che lavoravano allo stesso progetto. Si è così deciso di creare una Global Challenge che si è svolta fra 24 e 25 ottobre del 2015 in varie parti del mondo con, come “occhio del ciclone”, una dimostrazione pubblica al  Lincoln Center di New York. (E fra poco spiega meglio cos’hanno combinato in quell’occasione.)

L’altro elemento problematico di questo progetto è stata la mancanza di una rigida struttura di riferimento. Per molte persone è difficile accettare che questo progetto è caratterizzato dalla emergent nature dell’intero procedimento di lavoro. Bisogna essere in grado di abbracciare la “sfocatura” (fuziness). Qui non si tratta di risolvere un enigma, ma di co-crearlo. Allo stesso tempo, una volta compiuto questo passo e abbracciato l’ignoto, si scopre che è proprio questo spazio emergente la parte più interessante del progetto.

Ecco quindi cosa è successo al Lincoln Center (e nei gruppi autonomi nel resto del mondo) durante la Global Challenge:

1 I partecipanti sono stati divisi in gruppi di cinque o sei persone. A ogni gruppo è stato consegnato un rotolo di scotch con cui sono stati invitati a creare una scena del crimine in un qualche punto del Lincoln Center.

 

2 Dopo aver creato la scena del delitto, tutti i partecipanti sono tornati dagli organizzatori che gli hanno consegnato dei fogli di carta da pacchi. Gli organizzatori  hanno chiesto ai partecipanti di tirare fuori dalle tasche tre oggetti qualsiasi che potessero essere usati per raccontare una storia e poi tracciarne i contorni sulla carta.

3 Ai partecipanti è stato chiesto di scegliere tre oggetti fra quelli disegnati sulla carta (che non fossero i loro), di strapparli e tenerli con sé.

4 Poi gli è stato chiesto di cercare le scene del crimine sparse in giro per il centro (evitando quella creata dal proprio gruppo) e posizionare gli oggetti in esse.

5 Dopo aver finito, sono tornati ancora una volta dagli istruttori che gli hanno consegnato dei post-it e dei pennarelli. I partecipanti sono stati invitati a scrivere sui post-it delle brevi frasi che fungessero da indizio (ad esempio: “occhiali” – “rotti. segno di morsi sulle stanghette.”) e posizionarli nelle varie scene del crimine (sempre evitando la propria, ormai si è capito).

6 Infine, i gruppi che avevano lavorato insieme all’inizio sono stati riformati e sono stati invitati a tornare alla loro scena del crimine. E a risolvere il mistero. Qui sta il bello: non si trattava di risolvere un’enigma che qualcun’altro aveva pensato e per cui una soluzione già esisteva, bastava trovarla. La cosa da fare qui era CREARE la storia capace di collegare tutti gli elementi della scena.


Challenges

Una delle due sfide era la già menzionata 5x challenge. Ci ho messo un po’ a trovare qualcuno con cui farla ma poi il destino (e Facebook) ha messo sulla mia strada la fantastica Sabrina Giacardi, storyteller moderna, che ha già partecipato al MOOC l’anno scorso ed è stata una delle organizzatrici dell’evento torinese per la Global Challenge del 2015.

L’altra sfida della settimana è praticamente una riproposizione della sperimentazione di Weiler e Fortugno durante la Global Challenge ma trasferita nei social:

Mi sono divertita a realizzarla e quindi ecco qui la mia scena del crimine (non vedo l’ora di scoprire che storia ci inventeranno gli altri partecipanti!)

Ps. Il casino del mio garage non è mai sembrato più appropriato …

 

 


Serena Zampolli

2 COMMENTS
  • Sherlock & IoT – Seconda settimana – Serena Zampolli
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    […] fatto le corse per mettermi in pari con le settimane Zero e Uno, e non credo di essermela cavata troppo male. La settimana due l’ho affrontata partendo da zero, e in un certo senso la cosa ha aiutato […]

  • Sherlock & IoT – Terza settimana – Serena Zampolli
    Reply

    […] di vista di contenuti trasmessi dai tre insegnanti ai corsisti e quella a cui do più spazio nei miei post (segue […]

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